Camminare con Dio
Questo è il libro della discendenza di Adamo. Nel giorno in cui Dio creò l'uomo, lo fece a somiglianza di Dio; maschio e femmina li creò, li benedisse e diede loro il nome di uomo nel giorno in cui furono creati. Adamo aveva centotrenta anni quando generò un figlio a sua immagine, secondo la sua somiglianza, e lo chiamò Set. Dopo aver generato Set, Adamo visse ancora ottocento anni e generò figli e figlie. L'intera vita di Adamo fu di novecentotrenta anni; poi morì.
[Sette generazioni più tardi] Iered aveva centosessantadue anni quando generò Enoc; Iered, dopo aver generato Enoc, visse ancora ottocento anni e generò figli e figlie. […] Enoc aveva sessantacinque anni quando generò Matusalemme. Enoc camminò con Dio (Genesi 5, 1-5. 18-19. 21-22)
Enoc, il patriarca biblico, camminò con Dio, leggiamo nel libro della Genesi. Ma ciò significa che egli camminò con Dio allo stesso passo? Sì, Enoc non si affrettava, né restava indietro. Egli camminava con Dio. Non solo quando brillava il sole della grazia, ma anche nelle ore buie della prova e del dolore. Egli dimorò al fianco del suo Dio. Non soltanto quando tutti temevano il Signore, ma anche nei tempi della decadenza spirituale e del trionfo del male, come risulta dalla lettera di Giuda, nel Nuovo Testamento (v. 14-15). Enoc camminò con Dio allo stesso passo, e ciò diede alla sua vita una direzione precisa, tanto che la sua fedeltà viene ricordata anche nella lettera agli Ebrei (11, v.5).
Camminare con Dio allo stesso passo. Indubbiamente ci sono molti modi per non camminare allo stesso passo con Dio.
Il primo, ritornando al paradiso perduto, negando il peccato che è dentro di noi e la necessità di lottare contro di esso, la necessità di riconoscerlo e resistergli; negando la realtà del peccato che abbraccia, avvolge, infiltra tutto il creato, l’impossibilità, per noi, di “chiamarci fuori”, di dichiararci “puri” e la solidarietà, nel peccato che ci accomuna e che condividiamo, con l’intera umanità.
Il secondo, fuggendo, in avanti, verso il regno, abbandonando l’atteggiamento di attesa paziente e tenace per sostituirlo con successivi accomodamenti, adottando schemi che sostituiscono certezze umane all’attesa e abbandonando la tensione verso il superamento della situazione presente e del proprio ruolo di segno, nel mondo e per il mondo, di fermento critico indicante il futuro prendendo la scorciatoia di un giudizio già dato... dimenticando che noi stessi viviamo perché il giudizio è prorogato.
Il terzo, fuggendo nell’interiorità, negando l’incarnazione di Dio in Cristo e seguendo il cammino di una disincarnazione dell’essere umano, di una scissione tra sfera interiore e sfera esteriore e materiale, abbandono della ricerca della giustizia e della pace e dell’umanità a favore di una ricerca esclusiva della pace interiore: Gesù ha definito questo atteggiamento come autentica ipocrisia.
Il quarto, attenuando, in ogni modo, la tensione esistente tra fede e mondo, cercando di azzerare lo scandalo che il mondo costituisce per la fede e la fede per il mondo, ricerca di accomodamenti tra questi due poli con conseguente annacquamento del messaggio della fede: la fede porta su di un cammino lacerante, è vero.
Enoc camminò con Dio allo stesso passo. Possiamo dire lo stesso di noi? Il nostro è un cammino costante, ininterrotto con Dio? A volte nel nostro zelo lo sorpassiamo, a volte restiamo indietro. Camminiamo sì accanto a lui finché non scorgiamo le esigenze derivanti da tale comunione, ma davanti a esse siamo rapidi a fare di testa nostra e riprendiamo la guida della marcia. Quante volte agiamo contro il suo gradimento e la sua volontà. Non possiamo che meravigliarci della sua pazienza che non ci abbandona, ma attende sempre che smettiamo di girovagare.