Essere lettere di Cristo
È noto che voi siete una lettera di Cristo, scritta mediante il nostro servizio, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente; non su tavole di pietra, ma su tavole che sono cuori di carne.
Una simile fiducia noi l'abbiamo per mezzo di Cristo presso Dio. Non già che siamo da noi stessi capaci di pensare qualcosa come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio.
Egli ci ha anche resi idonei a essere ministri di un nuovo patto, non di lettera ma di Spirito; perché la lettera uccide, ma lo Spirito vivifica (2 Corinti 3,3-6)
L’immagine usata dall’apostolo Paolo per raffigurare i cristiani e le cristiane è insolita e suggestiva: sono lettere di Cristo, afferma. Detto in altre parole: nella loro vita, nei loro atteggiamenti, nei loro modi di essere, nei loro discorsi, è possibile riconoscere, e più ancora leggere, il messaggio di Cristo, l’evangelo.
Questo testo, e l’immagine che esso veicola, può essere letto in diversi modi. Mi limito a indicarne due: il primo, come una critica rivolta al nostro modo di intendere e vivere la fede, oggi; il secondo, come un invito a scoprire il messaggio che Dio ha scritto in ciascuno e ciascuna di noi.
Cominciamo dal primo, e cioè da una lettura che considera l’interrogativo, contenuto in questo testo di Paolo, rivolto al modo in cui viviamo la nostra fede.
Chiediamoci: nel corso della storia, questa lettera ha avuto caratteri chiari e comprensibili, che potevano essere letti da chi incontrava dei cristiani e delle cristiane?
Sì, certo, possiamo rispondere affermativamente. Ecco, infatti, che cosa scrive ad esempio l’anonimo autore della Lettera a Diogneto, a proposito dei cristiani: “I cristiani non appaiono distinti dagli altri uomini per il territorio che abitano, per la lingua che parlano, per le consuetudini che seguono. […] Essi abitano tuttavia nelle loro rispettive patrie, ma come passeggeri. Partecipano a tutte le cose come cittadini, ma tutte le cose subiscono come stranieri. Qualsiasi terra straniera è patria per loro, e ogni patria è terra straniera. Procedono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Si indugiano sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Si uniformano alle leggi costituite, ma con la loro foggia di vita oltrepassano le leggi. Portano amore a tutti, pur essendo da tutti perseguitati. Sono poveri, e arricchiscono molti. Di tutto hanno penuria, e di tutto sovrabbondano”.
Un altro esempio di lettera di Cristo, leggibile dai contemporanei, lo troviamo nel rapporto di un autore che invia delle notizie all’Inquisitore. Parla del comportamento degli eretici valdesi, che la chiesa medievale perseguita senza pietà: “Si può riconoscerli dai loro costumi e dai loro discorsi. Regolati, modesti, evitano lo sfarzo nei vestimenti. Non trafficano, per non esporsi a mentire e a giurare e ad ingannare. Vivono del lavoro delle loro mani. Si contentano del necessario. Sono casti, sobri, non frequentano le bettole né i balli. Assidui al lavoro, pure trovano modo di studiare e di insegnare. Si riconoscono anche dai loro discorsi, precisi e modesti. Rifuggono da ogni maldicenza e da ogni parlare buffonesco e ozioso, come dal mentire”.
I cristiani e le cristiane del primo secolo della nostra era, e i valdesi del medioevo: entrambi hanno esercitato una forte attrazione sui loro contemporanei e hanno contribuito all’ampia diffusione del cristianesimo, nell’area del bacino del Mediterraneo, i primi, in gran parte dell’Europa centrale e meridionale, i secondi.
Entrambi hanno anche suscitato forte opposizione e sono stati duramente repressi e perseguitati a causa delle domande precise, imbarazzanti, che suscitavano inquietudine, da essi sollevate.
Accolti con favore ed entusiasmo, o perseguitati con durezza e brutalità, entrambi hanno dunque saputo essere lettere leggibili che recavano un messaggio chiaro e riconoscibile.
E poi, che cosa è successo? Cristiani e cristiane sono stati capaci di presentarsi come “lettere di Cristo” leggibili dai loro contemporanei? O si sono uniformati all’ambiente circostante? Temo che la risposta sia che, fatte salve alcune eccezioni, il cristianesimo, nel suo insieme, abbia progressivamente scelto di intingere la propria penna più nell’inchiostro simpatico, che nella china nera.
Certo, ci sono state e ci sono delle eccezioni: l'Esercito della Salvezza di William Booth e di sua moglie Catherine Mumford, i socialisti religiosi intorno a Clara e Leonhard Ragaz, la chiesa evangelica confessante di Dietrich Bonhoeffer e Karl Barth, il movimento per i diritti civili di Martin Luther King, il movimento antiapartheid dell’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu…
Ma nell’insieme, i caratteri si sono fatti sbiaditi, ci siamo adeguati all’egoismo individualista della società borghese, quando non ne siamo diventati addirittura i solerti difensori.
La nostra lettera, porta ancora la firma di Cristo? O porta la firma di qualche altro maestro, portatore di altre ideologie, dogmi, sistemi di pensiero, stili di vita? Siamo in grado di suscitare entusiasmo od opposizione, o siamo ormai divenuti indifferenti, e perciò irrilevanti, e forse anche un po’ inutili? E siamo accoglienti? Chi ci incontra e ci conosce, ha voglia di unirsi a noi?
Sì, il testo della seconda lettera dell’apostolo Paolo alla comunità cristiana di Corinto, che parla dei cristiani e delle cristiane come “lettere di Cristo”, può essere inteso innanzitutto come una profonda e salutare critica al modo in cui noi, oggi, interpretiamo e viviamo la fede.
Ma questo testo dell’apostolo Paolo si presta anche ad altre considerazioni, e in particolare, a riflettere nuovamente sul messaggio che Dio ha scritto in ciascuno e ciascuna di noi.
È vero, forse noi non siamo in grado di scrivere sempre, nella nostra vita, con lettere chiare e comprensibili. Ma, chiediamoci di nuovo, che cosa ha scritto Dio in noi? Quale messaggio ci è stato affidato, da far emergere e da mostrare? Ci sono stati affidati talenti? E quanti? E quali? Siamo forse come quel tale che ha sì ricevuto un talento, ma per paura, o per incapacità, o indifferenza, l’ha sepolto invece di farlo fruttare?
Se la nostra vita rappresenta una lettera di Cristo chiara, aperta, energica, essa risponderà alla vocazione che le è stata rivolta. Costituirà una domanda che attende risposta, un messaggio che fa riflettere, un invito al quale rispondere. Anche là e quando tutto sembra perduto, o morto, lo Spirito può fare tutte le cose nuove. Dove e quando a lui piace, in qualsiasi contesto storico, lo Spirito di Dio può scrivere delle lettere di Cristo, usando un materiale umano prima non utilizzato, o riscrivendo su materiale vecchio per incidervi altri e nuovi caratteri.
Che cosa si potrà leggere nella lettera che noi siamo? Non dimentichiamo che nessuno è troppo piccolo da non poter far emergere, nella propria vita, lettere chiare che riflettono la firma di Cristo.