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La trasformazione necessaria

Due giorni dopo ci fu un matrimonio a Cana, una città della Galilea. C'era anche la madre di Gesù, e Gesù fu invitato alle nozze con i suoi discepoli. A un certo punto mancò il vino. Allora la madre di Gesù gli dice: «Non hanno più vino». Risponde Gesù: «Donna, che vuoi da me? L'ora mia non è ancora giunta». La madre di lui dice ai servi: «Fate tutto quel che vi dirà». C'erano lì sei recipienti di pietra di circa cento litri ciascuno. Servivano per i riti di purificazione degli Ebrei. Gesù disse ai servi: «Riempiteli d'acqua!» Essi li riempirono fino all'orlo. Poi Gesù disse loro: «Adesso prendetene un po' e portatelo ad assaggiare al capotavola». Glielo portarono. Il capotavola assaggiò l'acqua che era diventata vino. Ma egli non sapeva da dove veniva quel vino. Lo sapevano solo i servi che avevano portato l'acqua. Quando lo ebbe assaggiato, il capotavola chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti servono prima il vino buono e poi, quando si è già bevuto molto, servono il vino meno buono. Tu invece hai conservato il vino buono fino a questo momento». Così Gesù fece il primo dei suoi segni miracolosi nella città di Cana, in Galilea, e manifestò la sua grandezza, e i suoi discepoli credettero in lui. (Giovanni 2,1-12)

Il Vangelo di Giovanni presenta caratteristiche particolari. Considerando il suo contenuto, gli episodi che riferisce, la sua struttura, notiamo che presenta numerose differenze rispetto agli altri tre Vangeli - di Matteo, Marco e Luca. Giovanni non mostra nessun interesse per il dato storico, e insiste soprattutto sul messaggio che intende trasmettere. Non è dunque in nessun modo un libro di storia, bensì di annuncio. Giovanni insiste molto sul carattere simbolico di ciò che espone. Non per niente, nel quarto Vangelo i “miracoli” sono definiti “segni”. E quello compiuto da Gesù a Cana è esplicitamente definito “il primo segno” compiuto dal maestro galileo.

Prima di entrare nel vivo del racconto, nel prologo, Giovanni specifica che la legge è stata data da Mosè, ma la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù. Dobbiamo tenere presente questa sottolineatura, se vogliamo cogliere ciò che l’evangelista intende trasmettere ai suoi ascoltatori, e soprattutto quale sia il cambiamento di paradigma che intende introdurre.

Al centro dell’episodio delle nozze di Cana, stanno gli elementi dell’acqua e del vino. Se li consideriamo dal punto di vista simbolico, possiamo dire che l’acqua serve alla purificazione e dunque rappresenta la purezza del rito antico. L’acqua è la tradizione, che va osservata senza modificarla in nessun modo. Come capita di dire, anche oggi: si è sempre fatto così, non è lecito apportare cambiamenti.

Il vino è la bevanda del regno, rappresenta la felicità dei credenti nel regno di Dio. Il vino è segno di rinnovamento. E a questo proposito, non possiamo non ricordare la parabola del vino nuovo in otri vecchi. In altre parole, ciò che Giovanni annuncia è la fine del ritualismo: uno spirito nuovo deve pervadere il mondo. In questa prospettiva, l’acqua rappresenta dunque una realtà in cui prevale il rito, mentre il vino rimanda alla dimensione nuova, quella in cui prevale l’amore, quella del dono gratuito.

A confermare questa lettura dell’episodio delle nozze di Cana, possiamo ricordare anche il fatto che Giovanni mette l’episodio della purificazione del tempio all’inizio del suo Vangelo. In quell’episodio si afferma il superamento del tempio – e dunque di una religiosità basata sui sacrifici e sulla centralità dell’osservanza della legge. Il tempio di Dio, afferma il Gesù giovanneo, è l’essere umano.

Non bisogna dunque concentrarsi, considerando il racconto delle nozze di Cana, sull’apparente “miracolo” – mai accaduto storicamente – bensì sull’essenziale, cioè sul messaggio che l’evangelista vuole trasmettere. E il messaggio è questo: che in Gesù, Dio si mostra favorevole all’essere umano, libera dalla paura e mostra il suo amore.

Quel Gesù che in Giovanni “trasforma” l’acqua in vino è il Gesù che al malato dice “alzati e cammina”, che alla donna condannata alla lapidazione dice “non ti condanno, vai e non peccare più”, che rivolto alla folla assicura “cercate e troverete”, che a tutti e tutte dice “io sono la via”. Non è il rito la cosa più importante, bensì avere Gesù come proprio orientamento.

Bisogna però ricordarsi di invitare Gesù al proprio tavolo, nella propria esistenza – come gli sposi di Cana si sono ricordati di fare. Ciò che constatiamo, anche nelle chiese, è che a volte Gesù è assente, perché non è neppure stato invitato. Le chiese si sono dimenticate di lui, la società “cristiana” si è dimenticata di lui, hanno pensato di poter fare a meno della sua guida, della sua presenza. Hanno ritenuto di non dover seguire le sue tracce, di poter imboccare altre strade. Se ripensiamo all’immagine della vite e dei tralci – in cui Gesù è la vite, e noi siamo i tralci – capiamo che senza un profondo radicamento in Gesù, non potremo dare frutto, di amore, di giustizia, di pace.

In un mondo pieno di abili alchimisti, che quotidianamente operano trasformazioni di ogni genere – la verità in bugia, il bene in male, ciò che è giusto in errore, la luce in ombra – confondendo i cuori e le menti, la trasformazione di cui abbiamo bisogno è quella di quel Gesù che vuole camminare con noi.

Foto: unsplash