
Un comandamento nuovo
Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri (Giovanni 13,34-35)
Ci sono alcune parole-chiave nei discorsi di commiato di Gesù ai suoi discepoli, così come ce li ha tramandati l’evangelista Giovanni.
L’amore è una di queste parole.
E quello dell’amore, come leggiamo in questo testo, viene definito un “comandamento nuovo”. Ma in che cosa consiste la sua novità?
Sarebbe falso affermare che nell’Antico Testamento manchi il comandamento dell’amore. “Amerai il prossimo tuo come te stesso”: queste parole si trovano già nel libro del Levitico (19,18); e la centralità di questo comandamento era ben presente ai contemporanei di Gesù. Quando, nel Vangelo secondo Marco, Gesù afferma che il comandamento più grande è quello del duplice amore per Dio e per il prossimo, lo scriba che lo ha interpellato è pienamente d’accordo con lui (Marco 12,32-33).
Dov’è allora la novità del comandamento dell’amore?
La novità sta in una significativa aggiunta: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi.
Il comandamento antico diceva: ama il prossimo tuo come te stesso. Il Gesù del Vangelo di Giovanni invece dice: ama il prossimo tuo come me stesso, cioè come io vi ho mostrato nel mio amore, che arriva fino a dare la vita per voi.
Ecco la novità sostanziale. Non più: ama il prossimo tuo come te stesso, con la stessa intensità ma anche, implicitamente, con la debolezza, l’inadeguatezza della tua capacità umana di amare; bensì: ama il prossimo tuo come Gesù ha amato, non del tuo amore ma del suo amore.
Il comandamento dell’amore non si fonda sulla nostra capacità di amare, sul nostro limitato amore umano, ma sull’amore di Cristo.
Questa è la differenza fondamentale fra l’amore inteso in senso divino - l’agàpe - e in senso umano - l’eros.
Non c’è niente di male, nell’eros, nel nostro entusiasmarci e appassionarci: ma questo amore non è ancora l’amore in senso cristiano. Giovanni lo spiega bene nella sua prima lettera (4,10): “In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi”.
L’amore di Dio, dunque, e non il nostro, è l’amore che siamo chiamati a mettere in pratica.
Ma come possiamo noi, esseri umani limitati e imperfetti, amare dell’amore di Cristo?
La risposta del Vangelo di Giovanni è: dimorando, cioè rimanendo nell’amore di Cristo.
Come il Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi; dimorate nel mio amore. Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore. Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia completa. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi (Giovanni 15,9-12)
Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi: è un comandamento arduo, apparentemente impossibile da mettere in pratica.
Come possiamo noi, esseri umani limitati e fondamentalmente egoisti, amare dell’amore di Cristo? Questo amore divino non rientra nelle nostre possibilità umane!
La risposta del Vangelo è che ciò che sembra impossibile diventa possibile se dimoriamo nell’amore di Cristo, se restiamo aggrappati ad esso, se rimaniamo radicati in questa dinamica di amore che parte dal Padre nel suo rapporto col Figlio, per arrivare al rapporto del Figlio con i discepoli, fino al rapporto di amore che deve regnare fra i discepoli stessi.
L’amore non è una nostra iniziativa: è una iniziativa di Dio, in cui Dio ci coinvolge.
Il problema non è dunque come amare, ma come rimanere nell’amore.
La risposta che il Vangelo di Giovanni dà è questa: lasciarsi coinvolgere nella dinamica del dono, rimanere nell’ambiente vitale dell’amore: ecco in che cosa consiste l’unione con Cristo, ecco la possibilità - l’unica possibilità - di mettere in pratica il comandamento dell’amore fraterno.
Come è possibile mettere in pratica questo “dimorare nell’amore di Cristo”? Abbeverandoci quotidianamente a questa fonte d’amore, attraverso la lettura biblica, la preghiera, la meditazione di questo mistero dell’amore di Dio, cercando di immergerci in questa corrente d’amore - l’unica che può purificarci dal nostro egoismo, della nostra incapacità di amare.
Mi viene in mente l’immagine del battesimo: battesimo vuol dire immersione, e il Nuovo Testamento parla di battesimo, cioè di immersione, in Gesù Cristo (Rom 6, Gal 3), e nello Spirito (Atti 1,5).
Analogamente si potrebbe parlare di battesimo, di immersione nell’agape di Cristo: se siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati anche battezzati - cioè, immersi - nella sua agape, nella corrente dinamica dell’amore divino.
Abbiamo un bisogno quotidiano di re-immergerci nell’agape di Cristo.
Che il Signore ci aiuti a rimanere radicati in questo amore, così che possiamo mettere in pratica il suo comandamento, e così che il mondo possa riconoscere in noi dei discepoli e delle discepole di Cristo.