Riforma e coscienza
Mentre [Pietro e Giovanni] parlavano al popolo, giunsero i sacerdoti, il capitano del tempio e i sadducei, indignati perché essi insegnavano al popolo e annunciavano in Gesù la risurrezione dai morti. Misero loro le mani addosso e li gettarono in prigione fino al giorno seguente, perché era già sera. Ma molti di coloro che avevano udito la Parola credettero, e il numero degli uomini salì a circa cinquemila.
Il giorno seguente i loro capi, con gli anziani e gli scribi, si riunirono a Gerusalemme con Anna, il sommo sacerdote, Caiafa, Giovanni, Alessandro e tutti quelli che facevano parte della famiglia dei sommi sacerdoti. E, fatti condurre in mezzo a loro Pietro e Giovanni, domandarono: «Con quale potere o in nome di chi avete fatto questo?»
E, avendoli chiamati, imposero loro di non parlare né insegnare affatto nel nome di Gesù. Ma Pietro e Giovanni risposero loro: «Giudicate voi se è giusto, davanti a Dio, ubbidire a voi anziché a Dio. Quanto a noi, non possiamo non parlare delle cose che abbiamo viste e udite» (Atti 4, 5-7.18-20)
La prima domenica di novembre è, per le chiese evangeliche, dedicata al ricordo della riforma protestante del 16. secolo.
Accade spesso che il testo della predicazione sia costituito dall’episodio, contenuto nel quarto capitolo del libro degli Atti degli apostoli, in cui si racconta che, quando Pietro e Giovanni furono ammoniti e diffidati dal tribunale ebraico a non più predicare l’evangelo, essi risposero: “Noi non possiamo non parlare”.
Perché questo testo è spesso scelto per la domenica della Riforma? Perché esso richiama un famoso episodio che ebbe come protagonista il monaco agostiniano Martin Lutero.
Lutero fu convocato, nel 1521, a Worms, davanti all’imperatore Carlo V e alle massime autorità dell’impero. Carlo V intimò a Lutero di dichiarare nullo tutto ciò che egli aveva detto e scritto fino a quel momento. Lutero rifiutò, con queste parole: “Non posso e non voglio revocare nulla, perché è pericoloso e ingiusto andare contro la propria coscienza. Non posso diversamente. Io sto qui. Che Dio mi aiuti!”.
Due risposte - quella di Pietro e Giovanni e quella di Lutero - lontane nel tempo, che esprimono un principio che la Riforma del 16. secolo ha rivendicato con determinazione: quello della libertà di coscienza.
Questo principio significa, concretamente, sia per Pietro e Giovanni che per Martin Lutero, che la coscienza, forte della propria convinzione, può giungere ad assumere un atteggiamento deciso, di rottura, di fronte a qualsiasi tipo di autorità e di tradizione.
Si tratta di prese di posizione importanti, specie se cadono quando una persona scopre il valore della propria individualità e la necessità di fare le proprie scelte, in ogni campo, in conformità alla propria convinzione, alla propria coscienza. Quando nell’essere umano si sveglia il senso del valore che la propria coscienza deve avere come sorgente di autorità, allora - e va sottolineato: solo allora - gli eventi possono cambiare il loro corso.
Il richiamo protestante alla coscienza individuale ha aperto la porta a tempi nuovi, ha avuto e ha tuttora una forza rivoluzionaria: dove viene accolto provoca un riorientamento della scala dei valori.
Nella politica: non dimentichiamo che lo stato moderno, come noi lo conosciamo oggi, nella sua forma di democrazia parlamentare, è uscito dal travaglio della riforma protestante del 16. secolo.
Nella chiesa: la Riforma ha proposto e realizzato, almeno in parte, l’abbattimento della distinzione tra clero e laici e ha aperto la strada al sacerdozio universale.
Nella società: è negli ambienti più illuminati del protestantesimo che è sorta la battaglia per l’abolizione della schiavitù, ed è nell’ambiente delle chiese nate dalla Riforma che ha messo radice il movimento per la liberazione delle donne.
Nella visione protestante il cristianesimo è dunque religione della coscienza: qui è tutta la forza e la dignità del protestantesimo. Non si tratta di una coscienza lasciata a sé stessa, ma di una coscienza resa sensibile, matura e profonda dall’incontro con la coscienza più alta, quella di Gesù.
In un tempo come il nostro, in cui il conformismo e l’ossequio servile a pregiudizi di ogni sorta sembrano riacquistare e riacquistano il sopravvento; in cui le relazioni umane, di lavoro e politiche, sembrano essere sempre più dominate da criteri di interesse e di profitto, il protestantesimo può pronunciare una parola importante: l’appello a dare il primato alla coscienza illuminata dall’evangelo.
Si potrebbero e si possono dire anche altre cose sulla Riforma e sulla sua attualità, ma è importante ricordare, oggi, che “è pericoloso e ingiusto andare contro la propria coscienza” e che è pericoloso trascurare di alimentare la propria coscienza con la parola evangelica.
Ed è pericoloso, perché non si possono alla lunga mantenere i risultati politici, sociali, culturali, umani della rivoluzione religiosa della riforma protestante senza nutrirli in continuazione.
Che cosa significa? Significa che la libertà della coscienza è da conquistare, da riconquistare, mai da ritenere scontata, mai da considerare come un bene acquisito una volta per tutte. La libertà di coscienza è il prodotto di un lavoro continuo su noi stessi.
Non basta dirsi protestanti per essere davvero protestanti. Non basta risultare come protestanti nei registri di qualche comunità o di qualche ufficio del controllo abitanti per possedere una coscienza libera.
La tua libertà di coscienza non la ricevi attraverso la nascita, per tradizione, esibendo un documento su cui sta scritto che sei protestante. La tua libertà di coscienza l’acquisisci dal padre che è nei cieli, il quale lotta con te affinché tu cresca, misurandoti alla statura di Gesù.
È nelle tue decisioni quotidiane, politiche, sociali, culturali, religiose, che si mostra il grado della tua libertà di coscienza, la tua capacità di andare contro corrente, seguendo le orme di Gesù.
La riforma protestante del 16. secolo ha mostrato di avere capito tutto questo, operando di conseguenza delle scelte spesso molto nette, di rottura. Noi, che oggi celebriamo la Riforma, siamo altrettanto consapevoli?
Non siamo chiamati a ripetere le stesse scelte, perché viviamo in un’epoca, in un mondo, in una società diverse. Ma nel nostro mondo, nella nostra società, nel nostro tempo - se riteniamo valido ciò che i Riformatori hanno intuito e praticato nel 16. secolo - possiamo e dobbiamo operare scelte ispirate, guidate da una coscienza liberata dalla parola di Dio.