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spiritualità

Una lettera di Cristo

Noi non siamo come quei molti che falsificano la parola di Dio, ma parliamo mossi da sincerità, da parte di Dio, in presenza di Dio, in Cristo.
Cominciamo di nuovo a raccomandare noi stessi? O abbiamo bisogno, come alcuni, di lettere di raccomandazione presso di voi o da voi?
Siete voi la nostra lettera, scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini, essendo evidente che voi siete una lettera di Cristo […] scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole che sono cuori di carne.(2 Corinzi 2,17-3,3)

Uno dei più grandi scrittori del 20. secolo, Franz Kafka, ebreo, era un uomo che pensava spesso al mistero di Dio e al mistero dell'essere umano. Questo mistero, Kafka lo esprime ad esempio in un racconto intitolato “Il messaggio dell'imperatore”.
Lo scrittore immagina che l'essere umano di oggi – uomo o donna – sia come un antico cinese impiegato nei lavori di costruzione della Grande Muraglia. L’operaio cinese fatica, suda, patisce il caldo e il freddo, e non comprende il significato del proprio lavoro. Ma nella lontana Pechino c'è l'imperatore, e l’imperatore, che conosce tutto, sa.
L'imperatore gli ha inviato un messaggio: proprio a lui, piccolo cinese. Il messaggio non è ancora arrivato, ma l'imperatore lo ha inviato.
L’operaio continua a lavorare e nel frattempo spera che forse, un giorno, quel messaggio gli arriverà e chiarirà il senso della sua fatica.

Noi, donne e uomini di oggi, siamo come quel piccolo operaio cinese: immersi in un mondo pieno di dolore e fatica, di illusioni e di errori. Di questo mondo noi non comprendiamo il significato, e spesso ci sfugge anche il senso della nostra esistenza personale.
Abbiamo tuttavia una certa nostalgia delle cose spirituali, di un Dio che ci parli e aiuti a comprendere le nostre esistenze, che illumini la nostra storia tribolata, piena di dubbi e di fango come la Grande Muraglia cinese.

“A te, proprio a te, l'imperatore ha inviato un messaggio”, ci dice Franz Kafka, incoraggiandoci a non trascurare questa nostalgia, questa nostra attesa delle cose vere e profonde, delle cose dello spirito.

Diverso è il discorso che l'apostolo Paolo invia alla chiesa di Corinto: il suo non è un messaggio intriso di malinconica nostalgia, che rinvia a un futuro incerto, bensì un annuncio che trasmette una certezza.

Noi, lettori e lettrici di Kafka, o quantomeno donne e uomini simili all’operaio cinese del suo racconto, basiamo le nostre nostalgie spirituali sugli immensi fallimenti del ventesimo secolo.
Il secolo era nato accompagnato da tre grandi attese, legate agli sviluppi della tecnica, alla fede nella nazione, ai cambiamenti generati dalla rivoluzione. Ma poi le cose hanno preso una direzione che non era quella auspicata.
La tecnica ha prodotto, accanto a innegabili frutti positivi, le armi di distruzione di massa – dai gas del primo conflitto mondiale all’atomica –, sta provocando la crisi ambientale, e ora ci propone l’incognita dell’intelligenza artificiale, del controllo totale delle nostre attività.
Il nazionalismo ha prodotto Auschwitz, ha buttato la bomba atomica, e continua ad alimentare contrapposizioni, tensioni e guerre micidiali.
La rivoluzione, che prometteva di dare vita a un “uomo nuovo”, ha prodotto lo spaventoso “arcipelago gulag”, narrato dagli scrittori Alexander Solgenitsin e Varlam Salamov, i campi di sterminio di Pol Pot in Cambogia, i lager cinesi dove oggi sono rinchiusi gli uiguri.

Le attese d’inizio Novecento sono state deluse e siamo entrati nel 21. secolo appesantiti dalla consapevolezza dei fallimenti dell’umanità.
Amareggiati, perplessi e in cerca di punti di riferimento, abbiamo ricominciato a parlare dello spirito, della spiritualità.
La spiritualità è tornata di moda: la cerchiamo nelle forme più insolite e a volte bizzarre, e quanto più esotica è una verità, tanto più essa ci sembra attraente.
A Coira, nell’ambito di una giornata di studio organizzata recentemente dalla chiesa riformata cantonale, lo studioso delle religioni Georg Otto Schmid, direttore del centro di documentazione RelInfo, ha parlato di oltre mille movimenti e organizzazioni presenti in Svizzera, di centinaia di “guru” che diffondono messaggi caratterizzati da molta superficialità e di una religiosità che insegue sempre nuove e mutevoli tendenze.

Se ora ci volgiamo al messaggio dell'apostolo Paolo, dobbiamo riconoscere che in ciò che annuncia troviamo una risposta molto chiara, che non rinvia a una nostalgia, a un annuncio incerto, bensì a una certezza: il messaggio che noi cerchiamo è già arrivato, la lettera a noi indirizzata ci è già stata recapitata.
Il messaggio ci è stato mandato mediante Gesù di Nazareth, il maestro dolce e umile di cuore. Questo Gesù è il messaggio di Dio per l'umanità dispersa e sofferente.

Si tratta innanzitutto di un messaggio di perdono e di guarigione, ma è anche l’annuncio di un compito per la vita. Gesù fa di noi dei portatori e delle portatrici del suo messaggio. L’apostolo Paolo lo dice con una immagine inequivocabile: “Voi siete una lettera di Cristo”. Chi crede in Cristo diventa portatore e portatrice del suo messaggio, in parole e in atti.

Chi crede in Cristo non può fare a meno di parlare del perdono e della liberazione ricevuti. Ma allo stesso tempo non può non fare della propria esistenza, del proprio modo di vivere, del modo in cui prende le proprie decisioni, degli atti che compie, un riflesso della grazia di Dio. In questo senso, ciascuno e ciascuna di noi è chiamato e chiamata a diventare, nel dire e nel fare, una lettera di Cristo.

Diamo dunque retta a Kafka, limitandoci ad attendere, pieni di incerta malinconia, una lettera che potrebbe forse giungerci un giorno? O diamo ascolto all’apostolo Paolo, il quale ci dice che la lettera è già arrivata, la possiamo aprire, leggere, rileggere e trarne fin da ora, con l’aiuto dello Spirito, ispirazione e pace per la nostra esistenza quotidiana?