“Il guaio peggiore della guerra è che in brevissimo tempo provoca enormi distruzioni, materiali, sociali e umane. Per riparare quei danni e curare quelle ferite occorrono tempi lunghi, molte energie, generazioni intere”. Sono parole pronunciate da Marie-Ursula Kind, attualmente pastora riformata a St.Moritz, nel corso dell’incontro svolto lunedì sera, 17 novembre, nell’Aula riformata di Poschiavo.
Marie-Ursula ha lavorato, per dieci anni, come avvocata, presso il Tribunale penale internazionale dell’Aia, il primo tribunale civile internazionale dopo quello, militare, che condannò i criminali nazisti al termine della Seconda guerra mondiale.
“Per dieci anni ho guardato negli occhi, quasi ogni giorno, uomini che hanno commesso orribili e odiosi crimini durante le guerre combattute nella ex-Jugoslavia. È stata un’esperienza molto dura. Non fa bene esporsi troppo a lungo a questo genere di cose”.
161 le persone che sono comparse davanti al Tribunale dell’Aia, la maggior parte delle quali condannate a lunghe pene detentive. “Lo scopo del Tribunale era quello di trovare i criminali, dimostrare la loro colpevolezza, infliggere loro delle pene. Quando hanno istituito quella Corte, le Nazioni Unite speravano di creare uno strumento che avesse un potere dissuasivo. Ma probabilmente questo obiettivo non è stato raggiunto: le atrocità sono state comunque commesse”.
Oggi Marie-Ursula ritiene che l’approccio ai conflitti debba includere, oltre allo sforzo di assicurare alla giustizia chi si è macchiato, in vari modi, di crimini contro l’umanità, anche la creazione di canali di dialogo, l’educazione alla pace, la ricostruzione del tessuto sociale.
Terminato il suo lavoro presso il Tribunale dell’Aia, lei stessa ha lavorato, per alcuni anni, nella ex-Jugoslavia, nell’ambito di progetti sostenuti dal governo elvetico per la ricostruzione della società civile.
Nata in una famiglia le cui origini si trovano a Coira, Marie-Ursula ha alle sue spalle generazioni di pastori evangelici e un padre, scomparso prematuramente, che svolgeva la professione di avvocato e credeva fermamente nella giustizia. In lei, divenuta a sua volta pastora riformata, si ritrovano dunque due caratteristiche che hanno segnato profondamente la sua famiglia: la vocazione pastorale, la fede, e l’impegno a favore della giustizia, intesa nel senso più ampio possibile. “Ho capito che la giustizia umana è fallibile, a volte fragile, comunque esposta a vari condizionamenti. Sapere che c’è una giustizia superiore, quella di Dio, alla quale possiamo consegnare con fiducia ogni nostra fatica, è per me motivo di grande sollievo”.
Link di approfondimento:
Srebrenica si rialza – Segni dei Tempi RSI
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