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La virtù dell'umiltà

I discepoli si avvicinarono a Gesù, dicendo: “Chi è il più grande nel regno dei cieli?” Ed egli, chiamato a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Chi, pertanto, si farà piccolo come questo bambino, sarà lui il più grande nel regno dei cieli. E chiunque riceve un bambino come questo nel nome mio, riceve me. Ma chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare” (Matteo 18, 1-6)

Il testo di Matteo ci presenta il più antico ordinamento ecclesiastico per disciplinare la vita della comunità cristiana.
È un testo semplice e chiaro, di facile comprensione. È privo di rigidità giuridica, perché alla sua base sta il comandamento dell’amore.
In questo testo veniamo a sapere qual è la vera grandezza dell’uomo cristiano, della donna cristiana, quella grandezza a cui ognuno di noi dovrebbe tendere con tutte le proprie forze.

All’origine di questo antico ordinamento c’è un problema grave: anche tra i discepoli di Gesù si è insinuato lo spirito della competizione, della supremazia, del dominio, della sopraffazione.
Qualcuno vuole essere più importante, vuole avere il primo posto, vuole affermare il proprio piccolo o grande potere su altri, vuole essere più grande. Anche quelli che seguono o dicono di seguire Gesù fanno propria la domanda che tormenta l’umanità: chi è più grande?

È la domanda che lacera le famiglie, che divide, che separa i fratelli e le sorelle, che arma la mano di Caino contro Abele, che semina inimicizia tra Giacobbe ed Esaù.
È la domanda che scatena gli odii politici, che spinge a ogni bassezza e a ogni infamia per screditare l’avversario politico, per infangare il suo nome e la sua reputazione.
È la tormentosa domanda che genera infinite guerre commerciali.
È l’eterna causa di guerre tra i popoli e di discordie tra le nazioni.
Non è il problema del pane, del cibo, quello che scatena le guerre, ma l’ambizione, che rende troppo piccola la nostra terra.
Per l’ambizione è troppo piccolo anche il regno dei cieli. Ebbene, anche nella chiesa può insinuarsi, si insinua questa domanda.

Come risponde Gesù? Gesù ci presenta l’immagine di un bambino.
Che cosa significa? Di certo non è un invito a far regredire la chiesa allo stadio di asilo infantile e i cristiani a quello di persone non ancora mature. L’immagine del bambino ci riporta alla debolezza del bambino, al suo bisogno di sostentamento e indica così l’atteggiamento del vero discepolo: consapevole della sua fragilità; umile, e perciò capace di affidarsi pienamente all’amore di Dio e alla sua guida.

Il bambino è allora l’immagine del discepolo e della discepola che si lasciano portare da Dio, che sa di non dover contare solo sulle proprie forze, peraltro limitate, e di poter fidare nell’amore infinito di Dio.

Il credente è, in un certo modo, debole. In un certo modo, perché ci sono anche deboli che non si accorgono di esserlo: ignoranti, orgogliosi, egoisti, avari, presuntuosi.
Il credente è debole nella forma dell’umiltà. Questa umiltà si esprime attraverso la mancanza di arroganza, attraverso il rispetto per l’altro, l’amore per la giustizia, il riconoscimento dei propri limiti e dei propri errori, l’amore per la verità e il rifiuto della menzogna, dell’inganno, dell’ipocrisia.
Il discepolo e la discepola veri non possono chiedersi chi sia il più grande nel regno dei cieli perché sanno di non meritare nemmeno di entrarvi. La loro vera grandezza consiste dunque nell’umiltà.

L’umiltà oggi, nel mondo, è respinta e derisa. Il mondo appartiene ai furbi che tutto vogliono tranne che rinnovare davvero la società.
L’umiltà è giudicata insipienza, inferiorità, nel migliore dei casi è forse stimata una buona virtù, ma considerata un assurdo nella libera concorrenza delle forze che reggono il mondo.
Chi è umile è sopraffatto, sfruttato, non si fa strada, è perdente. Così nella vita familiare, quando guida l’auto, quando gioca. Soprattutto nel gioco, là dove, secondo De Coubertin «l’importante non è vincere, ma partecipare», là dove l’umiltà dovrebbe trovare spazio, domina invece la violenza, la prepotenza, la sicurezza di sé. Per non parlare poi della politica, la cui porta è bene che l’umile non apra neppure, in una società terribilmente competitiva, in preda a un concorso continuo, con le sue votazioni e graduatorie. Bisogna essere bravi, forti, preparati, coraggiosi. Sapersi far valere. Sapersi arrangiare.
Non si pensa che anche nella vita politica, anche nella vita economica, anche nella vita sociale l’essere umano sta davanti a Dio e che solo da Dio viene un vero rinnovamento.

Ma quel che è peggio, è che si pensa che anche nella chiesa non debba esserci spazio per questa virtù, che anche nella chiesa si debba vivere e agire e governare secondo la domanda: chi è il maggiore? Questo è la rovina, questa è la fine della chiesa, questo è l’allontanamento dalla via segnata da Gesù.

Ma fra voi non deve essere così. Questa è la buona notizia, la novità con la quale inizia il può antico ordinamento ecclesiastico, orientato dall’amore, basato sull’amore, concepito per dare spazio all’umiltà, alla verità, all’amore, alla giustizia, allo spirito di servizio, all’uguaglianza. Fra voi non deve essere così, dice Gesù.

Seguire questa parola significa essere messi nella condizione di agire come fermento di rinnovamento nel vecchio mondo. Significa aprire le porte non soltanto di una felicità personale, silenziosa, appartata, ma anche di una vita pubblica che non sia più all’insegna della competizione, del rancore, della furbizia, che non segua più le regole del mercato, della pubblicità, del denaro.
Umiltà vorrebbe dire allora non tanto debolezza quanto dirittura morale, coraggio sincerità, rettitudine, capacità di discernimento e anche intelligenza.

Una virtù stretta, quella dell’umiltà. Una virtù di chi non ha paura, ma sa andare incontro alla vita con un sorriso sul volto, magari appena accennato. Tutto il resto è scandalo, è vergogna per la chiesa, è fonte di gelosie, di inimicizie, di incomprensioni, di divisioni, è la morte della chiesa, è arido deserto senza vita.

Chi è il maggiore? Gesù ha detto: chi si farà piccolo come un bambino.