L'amore è una lotta
Ora vi mostrerò una via, che è la via per eccellenza. Anche se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho amore, divento un rame risonante o uno squillante cembalo. E quando avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da trasportare i monti, se non ho amore, non sono nulla. Anche se distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri e dessi il mio corpo a essere arso, se non ho amore, non mi gioverebbe a niente.
L'amore è paziente, è benigno; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non sospetta il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.
L'amore non verrà mai meno. Quanto alle profezie, esse saranno abolite; quanto alle lingue, esse cesseranno; quanto alla conoscenza, essa sarà abolita, poiché noi conosciamo in parte e in parte profetizziamo, ma, quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte sarà abolito. Quand'ero fanciullo, parlavo da fanciullo, pensavo da fanciullo, ragionavo da fanciullo, ma, quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da fanciullo. Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro, ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte, ma allora conoscerò appieno, come anche sono stato appieno conosciuto.
Ora, dunque, queste tre cose durano: fede, speranza e amore, ma la più grande di esse è l'amore. (1 Corinzi 12,31-13,13)
“Ora vi insegno qual è la via migliore”, dice l’apostolo. E l’indicazione che egli ci dà è semplice: la via migliore è quella dell’amore.
Una vita ha senso e valore solo finché in essa c’è amore; viceversa, una vita non è niente, e non ha alcun senso e valore, se in essa non c’è amore.
Una vita ha tanto valore, quanto amore. Tutto il resto è secondario.
A confronto con l’amore, felicità e infelicità, povertà e ricchezza, orgoglio e vergogna, patria e terra straniera sono poca cosa. E che cos’è una vita piena di disciplina, di onore, di rispettabilità, a confronto di una vita nell’amore? E che cos’è una vita piena di religiosità, di morale, di sacrificio e di rinuncia, se non è una vita nell’amore?
Lo afferma con forza anche l’autore del Cantico dei Cantici (8,6): “Forte come la morte è l’amore”.
Qualcuno potrebbe obiettare che l’apostolo dice cose che già sapevamo! È vero, dire queste cose non è una novità. L’unica novità è farle.
Ebbene, non è un caso che l’apostolo parli dell’amore come di una via, cioè di un cammino da percorrere, non di un insegnamento da dare: in tutta la Bibbia non c’è mai l’invito a predicare l’amore, ma sempre e solo a camminare nell’amore. La novità non è l’amore predicato, ma l’amore praticato.
Ma c’è anche un altro aspetto sorprendente in questi primi versetti del capitolo 13, qualcosa di ancora più radicale. Paolo dice: “Se parlassi tutte le lingue... se conoscessi tutti i misteri... se avessi tutta la fede... se distribuissi tutti i miei averi... se non ho amore, non sono nulla”. Non dice: non ho nulla, ma: non sono nulla!
Questo ci dice l’apostolo: puoi avere tutto, ed essere nulla. È la più grande contraddizione che si possa immaginare: avere tutto ed essere nulla, perché questo tutto, che hai, poggia su questo nulla, che sei!
Ma andiamo avanti, e chiediamoci: che cosa significa amare? L’apostolo dà delle linee di risposta, che cerchiamo di mettere in luce.
Innanzitutto colpisce la lunga serie di negazioni. L’amore “non invidia, non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non sospetta il male, non gode dell’ingiustizia”.
Leggiamo e comprendiamo il testo con attenzione: Paolo non dice quello che l’amore non è, bensì quello che non fa. Amare significa infatti non fare tante cose. Subito pensiamo: Ma è troppo poco, amare significa anzitutto fare! No, amare significa anzitutto non fare certe cose.
L’amore non è solo slancio verso l’altro, è anche e prima di tutto controllo di sé; è una specie di opposizione a noi stessi, di lotta contro noi stessi. Per amare l’altro, devo anzitutto disciplinare me stesso. E a che cosa tende questa disciplina su sé stessi per poter amare l’altro? Tende in fondo a una cosa sola: a non strumentalizzare l’altro. Questa è la prima indicazione: amare significa non fare tutto ciò che strumentalizza l’altro. In termini positivi diremo: l’amore è l’accettazione radicale dell’altro, e il contrario dell’amore è la negazione dell’altro.
La seconda indicazione viene dalle affermazioni in positivo: l’amore “gioisce con la verità, soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa”. Qui ciò che colpisce è la varietà delle manifestazioni dell’amore. L’amore gioisce, l’amore soffre. L’amore crede, l’amore spera. L’amore è paziente, l’amore è impaziente. L’amore è benigno, l’amore è esigente. Sembrano termini perfino in opposizione tra loro.
Ciò che Paolo vuole sottolineare è una seconda indicazione relativa all’amore: l’amore ha mille nomi, il suo nome è sempre un altro. L’amore cambia nome, questa è la sua caratteristica fondamentale.
La debolezza del nostro amore è che non cambia mai nome. Si chiama forse pazienza, ma mai impazienza. Si chiama forse sofferenza, ma mai gioia. Si esprime come benevolenza, ma mai come intransigenza. I nostri amori sono deboli perché sono monotoni, ripetitivi, sempre uguali. Imparare ad amare significa imparare i molti nomi dell’amore.
L’amore non è né cieco né neutrale: sa distinguere la verità dalla menzogna, l’iniquità dal diritto, la libertà dall’oppressione, la giustizia dall’ingiustizia.
L’amore sopporta ogni cosa, ma non approva ogni cosa; è paziente e benigno, ma non è qualunquista. Secondo la situazione, l’amore sceglie il suo nome, ed è un nome di battaglia, perché su questa terra amare significa lottare.
Noi conosciamo l’amore come dono, come accoglienza e comprensione, ma conosciamo e pratichiamo pochissimo l’amore come lotta. È nel contesto della lotta che l’amore prende i suoi vari nomi di battaglia.
Dove c’è oppressione, l’amore si chiamerà resistenza. Dove c’è menzogna, si chiamerà verità. Dove c’è fame, il nome dell’amore sarà pane. Dove c’è esclusione, il nome dell’amore sarà comunione. Dove c’è solitudine, l’amore si chiamerà compagnia. Dove ci sono blocchi militari, l’amore si chiamerà disarmo.
Occorre lottare affinché l’amore non si appiattisca, non diventi monotono.
La terza indicazione scaturisce da una constatazione: i nostri amori vengono meno. La nostra vita è piena di amori finiti, dimenticati, abbandonati. Quanto è facile che i nostri amori vengano meno. Se l’apostolo pensasse a noi e ai nostri amori, non direbbe: “L’amore non verrà mai meno”.
L’apostolo dice questo perché pensa a Dio. L’amore non verrà mai meno perché Dio non verrà mai meno.
E qui diventa del tutto chiaro perché l’amore è più grande: perché Dio è più grande, e Dio non è fede, Dio non è neppure speranza, Dio è amore.
Ecco perché la via indicata da Paolo è la via per eccellenza, la via migliore: perché è la via di Dio.
Proprio in questo contesto l’apostolo introduce il discorso del bambino che diventa uomo. “Quando ero bambino, pensavo da bambino... Da quando sono un uomo ho smesso di agire così”. Il che vuol dire: è l’amore che ti fa crescere e ti fa diventare uomo.
È bello e significativo che Paolo dica “quando sono diventato uomo”, e non “quando sono diventato cristiano”. È un messaggio cristiano nella sostanza, ma laico nel linguaggio.
Dunque: finché non ami, non sei ancora divenuto un uomo. Solo l’amore ci rende umani. L’amore è la più grande forza nel combattimento per la nostra umanizzazione.