La fede che cerchiamo
Gesù raccontò una parabola per insegnare ai discepoli che bisogna pregare sempre, senza stancarsi mai. Disse: “C'era in città un giudice che non rispettava nessuno: né Dio né gli uomini. Nella stessa città viveva anche una vedova. Essa andava sempre da quel giudice e gli chiedeva: Fammi giustizia contro il mio avversario.
'Per un po' di tempo il giudice non volle intervenire, ma alla fine pensò: 'Di Dio non mi importa niente e degli uomini non mi curo: tuttavia farò giustizia a questa vedova perché mi dà ai nervi. Così non verrà più a stancarmi con le sue richieste''.
Poi il Signore continuò: 'Fate bene attenzione a ciò che ha detto quel giudice ingiusto. Se fa così lui, volete che Dio non faccia giustizia ai suoi figli che lo invocano giorno e notte? Tarderà ad aiutarli? Vi assicuro che Dio farà loro giustizia, e molto presto! Ma quando il Figlio dell'uomo tornerà, troverà ancora fede sulla terra?” (Luca 18,1-8)
La parabola termina con una domanda. Si tratta di un fatto piuttosto insolito: in genere le parabole non terminano con una domanda. E qui si tratta addirittura di una domanda posta da Dio.
Noi non siamo abituati al fatto che Dio ci ponga delle domande. Di solito siamo noi che poniamo delle domande a Dio. Nella Bibbia, tuttavia, Dio a volte pone delle domande all'essere umano.
Lo fa ad esempio in uno dei primi racconti del libro della Genesi, dopo che Caino ha ucciso suo fratello Abele. All’indomani di quel primo omicidio, Dio chiede a Caino: “Dove sei?”. In altre parole, Dio chiede all'essere umano dove si sia nascosto, dove stia fuggendo. Caino non vuole fare i conti con Dio, e non vuole fare i conti nemmeno con sé stesso, non vuole guardare in faccia la realtà.
Anche noi, a volte, come Caino, non vogliamo fare i conti con Dio, ma nemmeno con noi stessi.
La domanda che Dio pone a Caino è ripetuta, attraverso i secoli e i millenni, a tutta l'umanità. È una domanda che vuole porre fine alla nostra fuga, è una domanda che rimanda alla nostra responsabilità.
Un'altra domanda posta da Dio la troviamo nel libro di Giobbe, un uomo innocente sul quale la sorte si accanisce. Giobbe vorrebbe sapere il perché della sua sofferenza e perciò pone delle domande a Dio. Dio lo ascolta pazientemente, finché a un certo punto gli chiede: “Ma tu, dov'eri tu quando io fondavo la terra”?
È come se Dio volesse ricordare a Giobbe la differenza che c'è tra l'essere umano e Dio, tra il creatore e la creatura.
È una domanda che interpella anche noi, che abbiamo perso il senso della misura e il senso di ogni limite.
Noi, come singoli individui e come società, corriamo il pericolo di confondere l'essere umano con Dio, di non riconoscere più la differenza tra il bene e il male, di non sapere più distinguere la verità dalla menzogna, di non più vedere il confine che c'è tra la vita e la morte.
E poi c'è la domanda che viene posta, nel nostro testo, al termine della parabola di Gesù riportata da Luca: “Quando il figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra”?
Gesù non chiede se troverà religione o religioni, non chiede neppure se troverà la chiesa o le chiese, non chiede nemmeno se troverà amore (che forse sarebbe ciò che noi chiederemmo come prima cosa), non chiede se troverà la vita che Dio ha creato e che noi così spesso disprezziamo.
Non religione, dunque, non chiesa, non amore, non vita, e nemmeno – potremmo aggiungere – giustizia, pace, fraternità, solidarietà e così via. Gesù chiede se troverà fede.
Per Gesù la fede è centrale, addirittura più importante di tutte quelle altre cose. In questa parabola sembra riprendere quanto detto già dal profeta Isaia, e cioè che “senza fede non si può sussistere”.
Ora, Gesù è già venuto una volta sulla Terra, ha già cercato la fede. E che cosa ha trovato? Ha trovato, possiamo dire, la fede che non cercava. E non ha trovato invece la fede che cercava. Ha trovato tanta fede, fin troppa: il mondo è pieno di fedi. Ma non ha trovato la fede che lui cercava.
Ha trovato la fede di Caiafa, il quale credeva nella legge. La legge in cui Caiafa crede è la legge che respinge e condanna Gesù. Caiafa, sommo sacerdote, è infatti tra quelli che decidono di consegnarlo ai romani affinché lo eliminino.
Quella di Caiafa è fede nella legge, ma Gesù non ha insegnato l'amore per la legge, bensì la legge dell'amore.
Quando Gesù è venuto sulla Terra, ha trovato anche la fede di Qumran, cioè la fede di quel movimento religioso severo e integralista che viveva sulle rive del Mar Morto e di cui sono stati trovati gli scritti conservati in anfore sepolte nelle grotte. La fede di Qumran è una fede che divide il mondo in due: da un lato i figli della luce, dall'altro i figli delle tenebre.
Ma Gesù non ha insegnato una simile divisione. Gesù ha accolto pubblicani e peccatori, non ha predicato la guerra santa bensì l'evangelo della riconciliazione e del perdono.
Gesù ha trovato anche una terza fede, quando è venuto sulla Terra. Ha trovato la fede di Roma, la fede nella forza armata, la fede nel diritto, la fede nella forza della civiltà romana. È una fede molto diffusa anche nel nostro tempo, in cui il continente europeo è attraversato da appelli al riarmo, da proclami a favore dell'uso della forza, dal ricorso alla forza militare per piegare gli altri al proprio volere.
Ma Gesù non ha parlato della fede nella propria forza, bensì della fiducia nella forza che proviene da Dio.
Quando Gesù e venuto in questo mondo non ha trovato fede nemmeno tra i suoi. Ricorderete la sua amara constatazione: “Nessuno è profeta in patria”.
Gesù non ha trovato fede nemmeno a Gerusalemme, e infatti ha pianto sulla città e sulla sua incredulità.
Non ha trovato fede tra i suoi discepoli: non per nulla sul campanile di molte chiese è posto ancora oggi un gallo a ricordare il tradimento di Pietro, il quale non è stato capace di conservare la fede in Gesù.
E paradossalmente, Gesù ha trovato fede in un romano, un centurione, del quale ha detto: “In nessun altro ho trovato tanta fede come ho trovato in lui”.
Nel nostro mondo ci sono fedi granitiche, che non amano le domande. Sono fedi religiose, ma anche politiche, fedi tecniche, ma anche economiche, che pretendono di essere assolute.
Non sono il tipo di fede che Gesù cercava, perché queste fedi rendono gli uomini aggressivi, violenti e intolleranti. Sono fedi che non producono amore, ma odio, non pace, ma guerra, non vita, ma morte.
Gesù ha insegnato una fede che sa anche trasgredire, non solo obbedire. Gesù, infatti, trasgredisce la legge del sabato. Egli dice che il sabato è fatto per l'uomo, e non l'uomo per il sabato. Non sempre la nostra fede è abbastanza coraggiosa da essere una fede che sa anche disobbedire. Troppe volte la nostra fede è una fede timida.
La domanda posta dalla parabola non è dunque, a ben vedere, se Gesù, quando tornerà, troverà fede, bensì quale fede troverà.
Possiamo dire qualcosa a proposito della fede che Gesù vorrebbe trovare? Sì, possiamo. Gesù vorrebbe trovare la fede della vedova della parabola. Una fede che non si rassegna all'ingiustizia, non accetta l'ingiustizia, non si arrende all'ingiustizia. Una fede che sa indignarsi e non dà tregua al potere arrogante.
E ancora, una fede che non ci rende freddi e insensibili, bensì vulnerabili perché sensibili al dolore altrui, alle necessità altrui, e alla parola di Dio. Quella fede non consiste solo in un sapere, in una conoscenza, ma anche e soprattutto in vulnerabilità e apertura.
Possiamo allora riformulare la domanda della parabola chiedendoci: “Quando il figlio dell'uomo tornerà, troverà chi gli apre la porta?”