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Riforma

Anne Boleyn (1501-1536)

Per lei Enrico VIII si staccò da Roma

I cattolici la considerarono un’infame per avere sostenuto Enrico VIII nella sua lotta contro il papa per ripudiare la prima moglie, Caterina d’Aragona. I protestanti la osannarono come luterana e ne lodarono la fedeltà alla Parola di Dio.

Anne nacque nel 1501, nella campagna del Kent. Quando, nel 1526, Enrico VIII, sposato con Caterina d’Aragona, le offrì di diventare la sua amante, lei rifiutò.

Il re non si diede per vinto: continuò a farle la corte e allo stesso tempo, per ottenere il divorzio, consultò i vescovi d’Inghilterra e mandò minacce al papa: non ottenne nulla. Cinque anni dopo, lei gli si concedette. Nel gennaio del 1533, poiché Anne era incinta, i due si sposarono.

La regina Caterina fu esiliata, Enrico si proclamò “capo della Chiesa d’Inghilterra”, e nel 1534 si staccò da Roma. Il papa lo scomunicò.

Il re, ossessionato dal desiderio di un erede maschio, sperò che Anne glielo avrebbe dato. Ma la regina partorì dapprima una bambina, e poi abortì due volte. Spazientito, Enrico, che aveva già messo gli occhi su Lady Jane Seymour, accusò Anne di infedeltà coniugali e stregoneria.

Il 19 maggio 1536, un colpo di spada le troncò la testa.

Per approfondire:

Enciclopedia delle donne
Anne Boleyn (Anna Bolena)

Roland Bainton
Donne della Riforma
volume 2, pp. 28-34
Claudiana, Torino 1997

Neue Zürcher Zeitung
Die Ehe die auf dem Schafott endete

Harriet Beecher Stowe (1811-1896)

Autrice della “Capanna dello zio Tom”

Nacque a Litchfield, nel Connecticut, settima figlia del pastore Lyman Beecher e di Roxana Foote.

Insegnante e scrittrice, la sua vita cambiò nel 1849, quando uno dei suoi figli morì in un'epidemia di colera. Più tardi disse che quella perdita suscitò in lei una grande empatia nei confronti delle schiave a cui erano stati venduti i figli.

L’introduzione del Fugitive Slave Act, nel 1850, che obbligava le autorità del Nord degli Stati Uniti a restituire gli schiavi fuggiti dagli Stati del Sud, la spinse a scrivere il romanzo “Uncle Tom’s Cabin” (“La capanna dello zio Tom”), che mise in luce i mali della schiavitù.

Il libro uscì nel marzo 1852 e sollevò infinite polemiche nel Sud degli Stati Uniti, dove lo schiavismo era fortemente ancorato. Il libro vendette 300.000 copie negli Stati Uniti nel primo anno.

Spinta da quel successo, Harriet tenne conferenze in molte città degli Stati Uniti e all’estero, parlando del suo libro e donando parte dei suoi guadagni per sostenere la causa antischiavista.

Pubblicò anche un "Appello alle donne degli Stati liberi d'America sulla crisi attuale del nostro Paese", che divenne una sorta di manifesto abolizionista.

Per approfondire:

Wikipedia
Harriet Beecher Stowe

Enciclopedia delle Donne
Harriet Beecher Stowe

Jane Grey (1537-1554)

La regina dei nove giorni

Il successore di Enrico VIII sul trono d’Inghilterra, Edoardo VI, fu un deciso fautore della Riforma nella Chiesa d'Inghilterra.

Ammalatosi gravemente, prima di morire rielaborò le "disposizioni per la successione" per impedire che la sorellastra Maria, cattolica intransigente, possibile aspirante al trono, diventasse regina e annullasse le politiche della Riforma.

Edoardo VI stabilì che a succedergli fosse Jane Grey, nipote di Maria Tudor, sorella preferita di Enrico VIII.

Il 9 luglio 1553 re Edoardo morì. Jane, allora sedicenne, di fede protestante, in stretto contatto epistolare con i Riformatori Heinrich Bullinger, a Zurigo, e Martin Bucer, a Strasburgo, fu proclamata regina.

Maria si rifiutò tuttavia di riconoscere il cambio di successione deciso da Edoardo e reclamò il suo diritto alla corona.

Il parlamento e l’esercito si schierarono con Maria: nove giorni dopo l’incoronazione, Jane fu destituita.

La regina Maria abbandonò le riforme ecclesiastiche attuate da Edoardo e fece imprigionare Jane. Processata e riconosciuta colpevole di alto tradimento, Jane Grey fu condannata a morte e decapitata, insieme al marito, il 12 febbraio 1554.

Per approfondire:

Wikipedia
Jane Grey

Roland Bainton
Donne della Riforma
volume 2, pp. 57-66
Claudiana, Torino 1997

Katherine Parr (1512-1548)

La sesta e ultima moglie di Enrico VIII

Verso la fine del 1542 Katherine, già vedova due volte, incontrò Enrico VIII a un ricevimento. Il sovrano, cinquantenne e acciaccato, che aveva da poco fatto decapitare la quinta moglie, Kathryn Howard, chiese la sua compagnia.
Qualche mese dopo, Enrico la volle sposare.

Il matrimonio durò quattro anni e fu turbato dal tentativo del vescovo di Winchester, Stephen Gardiner, di far arrestare Katherine con l’accusa di eresia.
Cattolico intransigente, Gardiner temeva che Katherine influisse sul re in senso protestante. Il buffone di corte scoprì il complotto e avvertì la regina, permettendole di bruciare lettere e libri compromettenti.

Dopo la morte di Edoardo VIII, avvenuta il 28 gennaio 1547, ormai serena, non più minacciata da congiure, Katherine pubblicò "Il lamento di una peccatrice", un libro in cui descrisse la sua conversione al protestantesimo.

Poco dopo si risposò, per la quarta volta, con Thomas Seymour. Nell’agosto del 1548 diede alla luce una bambina. Il 5 settembre morì di febbre puerperale.

Per approfondire:

Wikipedia
Caterina Parr

Enciclopedia delle donne
Katherine Parr

Roland Bainton
Donne della Riforma
volume 2, pp. 36-56
Claudiana, Torino 1997

Mengia Wieland-Bisaz (1713-1781)

La prima scrittrice retoromancia

Nata a Scuol, nella Bassa Engadina, è stata la prima scrittrice retoromancia. Nel 1733 sposò Antoni Wieland. La sua opera più nota è un libro di canti e preghiere intitolato "Ovretta musicala", risalente al 1740.

Quella raccolta ha avuto quattro edizioni nel giro di vent'anni. L’ultima edizione contiene un inno nel quale esprime il dolore per la perdita della figlia Anna Töna, morta nel 1765.

Mengia Bisaz compose già in giovane età canti religiosi caratterizzati da una "fresca naturalezza e da una pietà commovente". I testi esprimono la sensibilità pietista dell’epoca. Particolare importanza è attribuita al cuore, il “cor”, che costituisce la via d’accesso per eccellenza alla dimensione spirituale, a ciò che sta in alto.

Mentre altre raccolte di canti e preghiere si limitano a proporre traduzioni di inni tedeschi o francesi, l’Ovretta di Mengia Bisaz è l’opera originale di una poetessa romancia. Le melodie e le parole dei suoi canti hanno dato forma e contenuto a una specifica tradizione spirituale femminile.

Come Hortensia von Salis, anche Mengia Bisaz utilizzò figure bibliche di donne come modelli di riferimento per la spiritualità femminile.

Per approfondire:

Wikipedia
Mengia Violanda-Bisazia

Lexicon Istoric Retic
Mengia Violanda-Bisazia

Riforma e coscienza

Mentre [Pietro e Giovanni] parlavano al popolo, giunsero i sacerdoti, il capitano del tempio e i sadducei, indignati perché essi insegnavano al popolo e annunciavano in Gesù la risurrezione dai morti. Misero loro le mani addosso e li gettarono in prigione fino al giorno seguente, perché era già sera. Ma molti di coloro che avevano udito la Parola credettero, e il numero degli uomini salì a circa cinquemila.
Il giorno seguente i loro capi, con gli anziani e gli scribi, si riunirono a Gerusalemme con Anna, il sommo sacerdote, Caiafa, Giovanni, Alessandro e tutti quelli che facevano parte della famiglia dei sommi sacerdoti. E, fatti condurre in mezzo a loro Pietro e Giovanni, domandarono: «Con quale potere o in nome di chi avete fatto questo?»
E, avendoli chiamati, imposero loro di non parlare né insegnare affatto nel nome di Gesù. Ma Pietro e Giovanni risposero loro: «Giudicate voi se è giusto, davanti a Dio, ubbidire a voi anziché a Dio. Quanto a noi, non possiamo non parlare delle cose che abbiamo viste e udite» (Atti 4, 5-7.18-20)

La prima domenica di novembre è, per le chiese evangeliche, dedicata al ricordo della riforma protestante del 16. secolo.
Accade spesso che il testo della predicazione sia costituito dall’episodio, contenuto nel quarto capitolo del libro degli Atti degli apostoli, in cui si racconta che, quando Pietro e Giovanni furono ammoniti e diffidati dal tribunale ebraico a non più predicare l’evangelo, essi risposero: “Noi non possiamo non parlare”.

Perché questo testo è spesso scelto per la domenica della Riforma? Perché esso richiama un famoso episodio che ebbe come protagonista il monaco agostiniano Martin Lutero.

Lutero fu convocato, nel 1521, a Worms, davanti all’imperatore Carlo V e alle massime autorità dell’impero. Carlo V intimò a Lutero di dichiarare nullo tutto ciò che egli aveva detto e scritto fino a quel momento. Lutero rifiutò, con queste parole: “Non posso e non voglio revocare nulla, perché è pericoloso e ingiusto andare contro la propria coscienza. Non posso diversamente. Io sto qui. Che Dio mi aiuti!”.

Due risposte - quella di Pietro e Giovanni e quella di Lutero - lontane nel tempo, che esprimono un principio che la Riforma del 16. secolo ha rivendicato con determinazione: quello della libertà di coscienza.
Questo principio significa, concretamente, sia per Pietro e Giovanni che per Martin Lutero, che la coscienza, forte della propria convinzione, può giungere ad assumere un atteggiamento deciso, di rottura, di fronte a qualsiasi tipo di autorità e di tradizione.
Si tratta di prese di posizione importanti, specie se cadono quando una persona scopre il valore della propria individualità e la necessità di fare le proprie scelte, in ogni campo, in conformità alla propria convinzione, alla propria coscienza. Quando nell’essere umano si sveglia il senso del valore che la propria coscienza deve avere come sorgente di autorità, allora - e va sottolineato: solo allora - gli eventi possono cambiare il loro corso.

Il richiamo protestante alla coscienza individuale ha aperto la porta a tempi nuovi, ha avuto e ha tuttora una forza rivoluzionaria: dove viene accolto provoca un riorientamento della scala dei valori.
Nella politica: non dimentichiamo che lo stato moderno, come noi lo conosciamo oggi, nella sua forma di democrazia parlamentare, è uscito dal travaglio della riforma protestante del 16. secolo.
Nella chiesa: la Riforma ha proposto e realizzato, almeno in parte, l’abbattimento della distinzione tra clero e laici e ha aperto la strada al sacerdozio universale.
Nella società: è negli ambienti più illuminati del protestantesimo che è sorta la battaglia per l’abolizione della schiavitù, ed è nell’ambiente delle chiese nate dalla Riforma che ha messo radice il movimento per la liberazione delle donne.

Nella visione protestante il cristianesimo è dunque religione della coscienza: qui è tutta la forza e la dignità del protestantesimo. Non si tratta di una coscienza lasciata a sé stessa, ma di una coscienza resa sensibile, matura e profonda dall’incontro con la coscienza più alta, quella di Gesù.

In un tempo come il nostro, in cui il conformismo e l’ossequio servile a pregiudizi di ogni sorta sembrano riacquistare e riacquistano il sopravvento; in cui le relazioni umane, di lavoro e politiche, sembrano essere sempre più dominate da criteri di interesse e di profitto, il protestantesimo può pronunciare una parola importante: l’appello a dare il primato alla coscienza illuminata dall’evangelo.

Si potrebbero e si possono dire anche altre cose sulla Riforma e sulla sua attualità, ma è importante ricordare, oggi, che “è pericoloso e ingiusto andare contro la propria coscienza” e che è pericoloso trascurare di alimentare la propria coscienza con la parola evangelica.
Ed è pericoloso, perché non si possono alla lunga mantenere i risultati politici, sociali, culturali, umani della rivoluzione religiosa della riforma protestante senza nutrirli in continuazione.

Che cosa significa? Significa che la libertà della coscienza è da conquistare, da riconquistare, mai da ritenere scontata, mai da considerare come un bene acquisito una volta per tutte. La libertà di coscienza è il prodotto di un lavoro continuo su noi stessi.
Non basta dirsi protestanti per essere davvero protestanti. Non basta risultare come protestanti nei registri di qualche comunità o di qualche ufficio del controllo abitanti per possedere una coscienza libera.
La tua libertà di coscienza non la ricevi attraverso la nascita, per tradizione, esibendo un documento su cui sta scritto che sei protestante. La tua libertà di coscienza l’acquisisci dal padre che è nei cieli, il quale lotta con te affinché tu cresca, misurandoti alla statura di Gesù.
È nelle tue decisioni quotidiane, politiche, sociali, culturali, religiose, che si mostra il grado della tua libertà di coscienza, la tua capacità di andare contro corrente, seguendo le orme di Gesù.

La riforma protestante del 16. secolo ha mostrato di avere capito tutto questo, operando di conseguenza delle scelte spesso molto nette, di rottura. Noi, che oggi celebriamo la Riforma, siamo altrettanto consapevoli?
Non siamo chiamati a ripetere le stesse scelte, perché viviamo in un’epoca, in un mondo, in una società diverse. Ma nel nostro mondo, nella nostra società, nel nostro tempo - se riteniamo valido ciò che i Riformatori hanno intuito e praticato nel 16. secolo - possiamo e dobbiamo operare scelte ispirate, guidate da una coscienza liberata dalla parola di Dio.